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Riverberi Palladiani in Ungheria

  • Immagine del redattore: Palladian Routes
    Palladian Routes
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min




Tracce, trasformazioni e riflessi dello stile palladiano in quello che fu un cuore pulsante della Mitteleuropa



I. Il richiamo di Palladio nella terra dei Magiari

Architettura palladiana in Ungheria: il viaggio inaspettato di uno stile


No, Andrea Palladio non attraversò mai le pianure della Pannonia, né contemplò le acque del Danubio o le colline che circondano il lago Balaton. Eppure, secoli dopo, in quella terra di confini e imperi, di intrecci slavi, magiari e latini, la sua eredità riemerse con disarmante chiarezza. Non attraverso l’imitazione, ma attraverso l’interpretazione. Per mano di aristocratici formatisi a Padova, di architetti cresciuti a Vienna, di costruttori che avevano conosciuto il mondo veneziano. Il fascino ungherese per Palladio — silenzioso, graduale, talvolta tardivo — ha comunque lasciato un’impronta architettonica riconoscibile, in particolare tra Settecento e Ottocento.





II. Lo sguardo dell’Europa danubiana su Venezia

Influenza palladiana da Venezia all’Europa centrale


Per comprendere la diffusione dei modelli palladiani in Ungheria, occorre ripercorrere i legami diplomatici e culturali del mondo asburgico. La corte imperiale di Vienna manteneva rapporti costanti con l’Italia — economici, artistici, accademici. Molte famiglie nobili ungheresi inviavano i figli a studiare a Padova o Bologna, dove entravano in contatto con i trattati e gli ideali neoclassici già radicati negli scritti di Palladio. I Quattro Libri dell’Architettura, ristampati in più edizioni e tradotti in varie lingue, circolavano nell’Europa centrale. Non era raro che un architetto operante nell’orbita imperiale attingesse direttamente a quelle tavole, fondendole con i gusti e le esigenze dell’aristocrazia mitteleuropea.




III. Kismarton, Fertőd e l’incanto della proporzione

Ville ungheresi ispirate agli ideali di Palladio


Forse l’edificio più celebre a tradire una chiara influenza palladiana è il Palazzo Esterházy di Fertőd, spesso chiamato la “Versailles ungherese”. Pur nella sua articolazione più barocca, la simmetria interna, l’uso dei portici e l’impianto assiale dialogano con la logica palladiana.Non lontano, a Kismarton (oggi Eisenstadt, ora in Austria ma storicamente legata alla nobiltà ungherese), varie residenze nobiliari mostrano un classicismo misurato che non avrebbe dispiaciuto all’architetto vicentino.



Castello Esterházy di Fertod
Castello Esterházy di Fertod


IV. Neopalladianesimo in età asburgica

Revival palladiano nell’Impero asburgico


Tra fine Settecento e inizio Ottocento, lo stile palladiano conobbe una seconda vita in Ungheria grazie alla diffusione del neoclassicismo. In particolare sotto Giuseppe II, le committenze architettoniche promossero un’estetica della ragione, dell’ordine, della misura.Fu in questo clima che operarono architetti ungheresi come József Hild e Mihály Pollack. Quest’ultimo è ricordato soprattutto per il Museo Nazionale Ungherese di Budapest, un edificio maestoso il cui portico colonnato richiama in modo inequivocabile il fronte templare delle ville palladiane.



Museo Nazionale Ungherese
Museo Nazionale Ungherese


V. Budapest e la memoria ritrovata del tempio classico

Tracce palladiane nell’architettura della capitale ungherese


Anche nella Budapest dell’Ottocento — città segnata dall’eclettismo e dallo storicismo — si trovano elementi ispirati al rigore palladiano.Oltre al Museo Nazionale, anche l’Accademia Ludovika, sempre opera di Pollack, riprende proporzioni e principi compositivi affini. Alcune ville borghesi di Pest, costruite agli inizi dell’Ottocento, reinterpretano lo schema tripartito palladiano: corpo centrale enfatizzato da un frontone, ali simmetriche, e attenzione alla sezione aurea nelle facciate.



Accademia Ludovika
Accademia Ludovika


VI. Architetti, nobili e mecenati del sogno palladiano

I protagonisti dell’architettura palladiana in Ungheria


La diffusione dei modelli palladiani in Ungheria non sarebbe stata possibile senza una rete di mecenati illuminati. Figure come il principe Miklós Esterházy, il conte György Festetics e il barone Antal Grassalkovich si rivelarono non solo grandi amanti dell’arte, ma raffinati mediatori del gusto italiano. Accanto a loro, architetti — spesso formati nelle accademie viennesi o in contatto con la cultura italiana — furono interpreti e traduttori di quel linguaggio di armonia e misura.



il principe Miklós Esterházy
il principe Miklós Esterházy


VII. L’eredità visibile: itinerari e mete da riscoprire

Alla scoperta dell’architettura palladiana in Ungheria


Oggi è possibile ripercorrere l’eredità palladiana ungherese attraverso un itinerario affascinante:

  • Il Palazzo di Fertőd resta la tappa più celebre, con i suoi giardini e le sale che echeggiano l’ideale neoclassico.

  • Il Museo Nazionale di Budapest, ancora oggi visitabile, offre non solo collezioni storiche, ma anche un’esperienza monumentale.

  • La città di Tata, con il Castello Esterházy e i giardini neoclassici, rivela un angolo inaspettato d’ispirazione all’italiana.

  • A Kőszeg, alcune ville meno note della famiglia Festetics conservano tracce palladiane nell’architettura privata.




    Villa Festetics a Dég
    Villa Festetics a Dég


VIII. Tra le pieghe del paesaggio, un’eredità rinascimentale

Perché Palladio conta ancora in Ungheria


Camminare tra questi luoghi significa percepire un’eco.

Un’eco dell’Italia, certo, ma anche di un’Europa che parlava una lingua comune fatta di proporzioni, bellezza e virtù pubblica. Palladio, che mai mise piede in Ungheria, è riuscito comunque ad attraversarla — attraverso incisioni, idee, sogni scolpiti nella pietra.E per questo, ancora oggi, sotto un frontone magiaro incorniciato da pilastri e timpani, si può forse udire, in lontananza, la voce misurata del maestro di Vicenza — stavolta con un accento ungherese.




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